martedì 22 marzo 2016

left 10, 5 marzo 2016

Il neoliberismo non è scienza, è politica. Anzi teologia

Questa teoria concepisce "uomini economici" che cercano sempre di massimizzare il proprio utile. Perchè gli economisti dovrebbero uscire da questo schema

Andrea Ventura

L’idea che troviamo alla base della teoria economica dominante è che gli uomini sono come degli atomi mossi dalla spinta alla massimizzazione della propria utilità. In questa teoria il mercato non è visto come un’istituzione la quale, assieme ad altre, concorre a determinare il funzionamento dei nostri sistemi sociali, ma costituisce il nesso sociale fondamentale. Sul mercato, infatti, il conflitto tra gli interessi economici individuali si trasformerebbe in un armonico ordine sociale e ciascuno sarebbe in grado di compiere le proprie scelte in piena libertà. Privatizzazioni, liberalizzazioni, riduzione del ruolo pubblico nell’economia, flessibilità del lavoro, sono politiche che discendono tutte da un unico presupposto: per il benessere umano è necessario ampliare i mercati ed eliminare ogni ostacolo loro funzionamento. Questa è l’essenza del neoliberismo.

Prima della crisi del 2008 si poteva ancora pensare che questa teoria, per quanto errata, facesse parte della scienza. I critici di essa si concentravano principalmente sulla sua scarsa coerenza logica e sulla sua difformità rispetto all’esperienza storica; i sostenitori ponevano invece l’accento sul carattere formale e matematicamente strutturato delle sue proposizioni. Diffusa era comunque la considerazione secondo la quale, a differenza delle scienze della natura, per gli economisti fosse impossibile compiere degli esperimenti di laboratorio e verificare anche per questa via la validità delle diverse strutture di pensiero. Dopo quella data, dopo i disastri provocati da politiche economiche ispirate alle stesse idee che quella crisi hanno generato, si sente dire spesso che abbiamo assistito a qualcosa di simile a un esperimento controllato: con esso sarebbe stato definitivamente dimostrato che la teoria economica dominante non funziona. Certo, se si continua a guardare a essa come teoria scientifica, assistiamo a un indubbio fallimento. Il fatto è che invece il neoliberismo è una teoria politica, o meglio una teologia, e come tale sembra ancora funzionare. A esso, infatti, continuano a ispirarsi partiti, governi, istituzioni pubbliche nazionali e internazionali; è sulla base di questa teoria che sono formulate politiche pubbliche e riforme istituzionali. In altri termini la teoria economica neoliberista non serve a spiegare la realtà, come può essere una scienza della natura. Essa svolge invece funzioni di controllo sociale e di dominio, sia appunto per le politiche che propone, sia per la cultura economicista che contribuisce a diffondere. Se poi così facendo si generano miseria, crisi e disgregazione sociale, è sempre a essa che si ricorre per trovare soluzioni, magari suggerendo che le politiche indicate non sono state applicate in modo abbastanza radicale.

Gli uomini, dice questa teoria, sono uomini economici, dunque cercano sempre di massimizzare il proprio utile. Perché gli economisti dovrebbero uscire da questo schema di comportamento? Abbiamo qui un vero e proprio corto circuito: il sostegno teorico alle tesi neoliberiste e il perseguimento del proprio tornaconto personale diventano guida al pensiero e all’azione di troppi economisti. Essi si trovano dunque perfettamente a proprio agio nel sostenere politiche funzionali ai gruppi di potere dominanti. Al contempo, l’impoverimento del settore pubblico e la crescente concentrazione della ricchezza in mani private rendono l’intera produzione scientifica e culturale sempre più dipendente dagli interessi di gruppi e fondazioni che operano sulla base di un orizzonte privatistico. Urge costruire su nuove basi antropologiche e culturali un’opposizione che sia in grado di spezzare questa soffocante TINA, “there is no alternative”, che la teoria dominante propone ma che l’esperienza storica non ha mai confermato.