giovedì 12 settembre 2019

Left n. 21, 24 maggio 2019

Il falso mito del mercato e i suoi effetti collaterali

Oltre a una visione economica diversa da quella neoliberista, si deve lavorare per un nuovo modo di vivere i rapporti sociali. Perseguendo un’idea di benessere collettivo che unisca quello materiale, la difesa dell’ambiente e l’arricchimento culturale.  

di Andrea Ventura

Grazie ai recenti sviluppi tecnologici, i settori più dinamici dell’economia utilizzano una risorsa particolare, l’informazione, che ha caratteristiche diverse da quelle su cui si basavano le fasi di sviluppo del passato. Se un comune bene di consumo, infatti, può essere scarso e dunque è a disposizione di un individuo o di un altro, l’informazione, all’opposto, proprio per sua natura, è sfruttabile nella misura in cui circola liberamente ed è condivisa tra più persone. Questo genera due conseguenze di rilievo: anzitutto le sue potenzialità non possono pienamente svilupparsi all’interno dei mercati, i quali invece funzionano quando l’oggetto scambiato è per usi individuali e pertanto chi non lo possiede deve essere escluso dal suo godimento; in secondo luogo, proprio per questo, uno dei principali terreni di conflitto tra interessi privati e pubblici verte sulle modalità di utilizzo delle tecnologie dell’informazione e dell’immensa quantità di dati e conoscenze che circolano per la rete: da un lato pochi grandi colossi cercano di usarle per il profitto privato, dall’altro forze sociali diffuse tentano di favorire l’uso di queste tecnologia per il benessere di tutti.

Oltre questo conflitto, è oggi in questione l’affermazione o la sconfitta di un modello di società. L’idea liberista basata sulla centralità del mercato, proposta in alcune teorie economiche di fine Ottocento, non solo poggia sulla centralità della produzione e dello scambio di beni materiali, ma fa riferimento ad un modello sociale che ha le sue radici nel razionalismo illuminista del Settecento. Voltaire, ad esempio, vedeva nella borsa di Londra la possibilità che persone con cultura, religione e nazionalità diverse potessero superare le loro contrapposizioni, facendo affari piuttosto che la guerra. Peccato però che l’espansione della borsa di Londra, la quale nel corso del diciottesimo secolo crebbe del 400%, avesse alla base quel turpe commercio degli schiavi che proprio nel secolo dei lumi registrò la sua massima espansione. Voltaire peraltro (così come Locke, l’altro campione della tolleranza) investiva lui stesso i propri risparmi nel commercio degli schiavi.

Dopo la crisi del ‘29 e i disastri della guerra, le teorie liberali sono state superate e il modello di gestione dell’economia che si è affermato in Occidente fu invece ispirato alle idee di Keynes. Esso si reggeva su un “patto sociale” tra Stato, capitalisti e organizzazioni dei lavoratori finalizzato alla crescita economica e alla diffusione del benessere anche verso fasce di popolazione che fino ad allora ne erano rimaste escluse. Grazie a questo patto è stato edificato un sistema sociale che, coniugando democrazia, protezione sociale e mercati delle merci parzialmente liberi, ha trovato la sua massima espressione nel modello sociale europeo, oggi sotto attacco per il ritorno del liberismo.

La crisi di quest’ultimo è radicale. Essa è una crisi economica, ma anche sociale: pertanto il suo superamento necessita che si discuta attorno ad una nuova idea di socialità. Affrontare passaggi di questa natura richiede uno sforzo di comprensione di lungo periodo sui processi di socializzazione, in assenza del quale non è possibile indirizzare l’azione politica. Solo a seguito di questo sforzo si possono aprire prospettive per un cambiamento in positivo delle nostre società. Oltre la critica al neoliberismo, va dunque definito un nuovo patto sociale, che trovi le sue fondamenta su di una nuova idea di socialità. In realtà questa idea di società l’abbiamo già davanti ai nostri occhi: essa è quella della cooperazione all’interno delle comunità scientifiche. In modo simile ma civilmente assai più avanzato del modello della borsa di Londra di Voltaire, le comunità scientifiche che lavorano su base europea e internazionale, infatti, prescindono dalle eventuali divisioni derivanti da religioni, lingue e barrire culturali, portando avanti l’intento comune della ricerca nei diversi campi di interesse. Certo, vi sono contesti in cui ciò non è così semplice, né l’accesso dei singoli ricercatori e lo sviluppo dei progetti di ricerca sono liberi da vincoli e condizionamenti economici e politici. Eppure, quello che qui interessa sottolineare è che, per ogni gruppo di scienziati, maggiori sono la circolazione delle informazioni, la cooperazione, il livello di coesione dei suoi componenti e la libertà di cui essi dispongono, maggiori sono i risultati scientifici raggiunti dal gruppo stesso. 
Anche nelle organizzazioni della società civile e nelle lotte sociali si va affermando questo modello. Le lotte della popolazione della Val di Susa contro il TAV, ad esempio, non sono mai state limitate alle manifestazioni di strada. Piuttosto, per anni, un’intera valle ha discusso del sistema dei trasporti, della difesa dell’ambiente, della possibilità di uno sviluppo economico diverso da quello del passato e più rispettoso della vita delle persone. Lo sguardo di questa gente non è mai stato rivolto all’indietro, piuttosto essi si impegnavano e si impegnano ancora per il superamento di un’economia ormai vecchia che genera sprechi, alterazioni ambientali e diseguaglianze.
Tutto questo ci serve per definire in modo più preciso la sfida che oggi abbiamo di fronte. Essa ci impone la necessità di integrare due aspetti: accanto ad una visione diversa da quella dominante sulle questioni specifiche di politica economica, si deve lavorare per l’affermazione di un nuovo modo di vivere i rapporti sociali. È necessario perseguire un’idea di benessere che unisca il benessere materiale, la difesa dell’ambiente e l’arricchimento culturale, sfruttando anche le potenzialità offerte delle tecnologie dell’informazione. Queste tecnologie, infatti, non solo consentono di raccogliere una mole impressionante di informazioni su noi stessi, che dunque ci appartengono, ma riducono anche i costi della comunicazione, dell’organizzazione e della diffusione della conoscenza. 
Questo modello di società, come si è detto, può ispirarsi ai gruppi di ricerca, ma caratterizza anche la cultura, l’arte, ed in genere a tutti quegli ambiti che Massimo Fagioli ha definito come legati alla realizzazione delle esigenze. Questa idea di socialità dovrebbe affermarsi anche all’interno della sinistra. Oltre la frammentazione e la dispersione, oltre una polemica politica che ormai raccoglie sempre meno interesse, le forze della sinistra devono essere in grado, anche al loro interno, di proporre un’idea di socialità dove l’individuo conta, ma non è nulla senza il collettivo; il collettivo d’altro canto è necessario, ma non deve soffocare la creatività e la libertà del singolo. Uguaglianza e diversità tra individui, percorsi culturali e interessi, devono trovare il modo di armonizzarsi, potenziandosi a vicenda. Questo modello di socializzazione può essere vincente, e noi ci stiamo impegnando per la sua affermazione.

Left n. 20, 17 maggio 2019

PER USCIRE DALLA CRISI RIPRENDIAMOCI L’EUROPA

di Andrea Ventura

Come nota il celebre sociologo tedesco Elias, dall'annomille osserviamo che lo sviluppo umano sembra condurre verso la formazione di aree politico economiche sempre più vase. Dai piccoli feudatari si è passati ai comuni, poi a più ampi aggregati regionali, infine ai moderni stati nazionali. Oggi abbiamo principalmente tre grandi aree geopolitiche, i cui poli sono rappresentati dagli Stati Uniti, dall’Europae dalla Cina. Questo fenomenoha subito una forte accelerazione con lo sviluppo delle nuove tecnologie; è ormai possibile comunicare con immediatezzada ogniparte del mondofavorendo la diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, mentre le grandi imprese sfruttano questa possibilità ramificandosi in ogni angolo del pianeta: pagano imposte irrisorie nei paradisi fiscali, offrono occupazione dove i salari e le protezioni sociali sono inferiori, inquinanodove ci sono meno leggi sull’inquinamento ecc. Le nostre vie di trasporto sono ormai le arterie di un sistema produttivo globale, in gran parte interno alle stesse imprese multinazionali.

Questa realtà può essere considerata come il risultato della tendenza degli esseri umani ad aggregarsi per scambiare e comunicare, e, come si è detto, dello sviluppo tecnologico. Inoltre, più l’area politico-economica è vasta e coesa, più è potente, maggiore è il condizionamento che esercita nei confronti di chi cerca di restarne al di fuori. Le sorti dell’Europa vanno inquadrate in questo sviluppo storico di lungo periodo. Il dramma è che questa tendenza all'aggregazione, negli ultimi decenni, è avvenuta all’insegna del neoliberismo economico. L’Europa dei trattai e della moneta unica ha in sostanza cavalcato questa tendenza all’aggregazione costituzionalizzando dei principi economici errati. Così, se negli Stati Uniti un governo democraticamente eletto può sostenere l’economia ricorrendo al debito pubblico, ai trasferimenti fiscali e alla politica monetaria, in Europa ciò non è possibile. La BCE, ad esempio, ha nel suo statuto il principio secondo il quale la moneta influenza il livello dei prezzi. Pertanto gli è vietato il finanziamento dei debiti governativi e il suo compito sarebbe quello di controllare l’inflazione. Dopo anni di politiche monetarie espansive, l’inconsistenza di questo principio dovrebbe essere ormai evidente, eppure quello statuto non è in discussione e si continua a sostenere che essa “vigila” sull’inflazione. 

L’altro elemento drammaticoè rappresentato dal fatto che le forze della sinistra storica hanno aderito al neoliberismo. Rileggendoil discorso che tenneGiorgio Napolitano per il Partito Comunista Italiano nel1978in occasione del dibattito parlamentare sull’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo, troviamo un’analisi lucidissima delle conseguenze per le classi lavoratrici dell’affermazione di questo modello di integrazione. Eppure, nei decenni seguenti, anche le classi dirigenti delle organizzazioni dei lavoratori hanno aderitoad esso. In sostanza sono stati liquidati cent’anni di storia del movimento operaio, lasciando le classi più disagiate, ma ormai anche i ceti medi, prede della crisi economica e della destra nazionalista. Ci troviamo così in una condizione difficilissima: con la crisi che incalza e che richiederebbe una proposta politica di ampio respiro, abbiamo invece la strada sbarrata sia dalla rigidità dei trattati, sia dalla mancanza di forze sufficienti per interpretare in modo proficuo questa necessità di cambiamento.

La strada della modifica dei trattati è accidentata. È certamente vero che essi, come tutte le cose umane, possono essere cambiati, ma è assai complesso stabilire come, e soprattutto con quali strumenti di pressione, questo risultato possa essere ottenuto. Altrettanto impervia è la strada di chivuole uscire dall’euro, oppure dall’Europa. È questa una via d’uscita impraticabile, e lo è soprattutto per un paese come l’Italia che conta oltre 400 miliardi di euro di esportazioni, che difficilmente potranno essere salvaguardate se il paese sceglie di scontrarsi con i suoi storici alleati.Le forze della sinistra radicale devono quindi muoversi all’interno di una difficile contraddizione:l'Europa attualenon ci piace,ma non abbiamo ancora forze sufficienti per imporre il necessario cambiamento. Certo, è necessario ricordare sempre le principali battaglie che devono essere condotte in Europa (lotta ai paradisi fiscali, modifiche nella gestione della moneta, difesa del lavoro, riconversione ecologica dell’economia, accoglienza, istruzione ecc.) ma per un’azione volta al lungo periodo le nostre forze devono essere in grado di formulare una ben definita proposta culturale. 

Questa proposta si deve basare sull’idea dell’uguaglianza. Solo la ricerca sull’uguaglianza ci consente di sviluppare una prospettiva politica alternativa a quella delle destre. L’idea di uguaglianza è a tutti gli effetti un’idea fondativa della sinistra, e deve basarsi anzitutto sull’uguaglianza tra uomini e donne. Proviamo a fare un po' di ricerca. Salvinièandato a Verona a parlare della famiglia tradizionale, poi però la Lega è favorevole alla riapertura delle case chiuse. I virili padani vorrebbero la donna da subordinata all’uomo nella cosiddetta famiglia tradizionale, e a loro disposizione in una casa chiusa controllata dalla sanità pubblica.Sorge spontanea la domanda sulla ragione ultima per la quale Salvini e la destra hanno queste terribili idee sulla sessualità e sulle donne. La risposta va cercata nel fatto che il rapporto uomo-donnaesprime in massimo grado il rapporto con il diverso da sé.Le altre diversità, come quelle legate al colore della pelle, allalingua, alle tradizioni e alla cultura sono molto più relative. Il cuore della difficoltà nella composizione tra uguaglianza e diversità è lì, nel rapporto uomo-donna, enon è un caso che la destra abbiaquesta idea delle donne. La diversità per loro implica la negazione dell’uguaglianza, dunque un giudizio di valore su chi è superiore e chi è inferiore, che poi ripropongono nei confronti dei migranti, dei rom, dei poveri e dei disoccupati.

Questa idea di uguaglianza la dobbiamo mettere anche al centro delle nostre proposte per l’Europa. I popoli europei hanno alcune tradizioni politiche e culturali che li uniscono. Tra queste, appunto, vi è un secolo di lotte sociali che ha condotto alla costruzione di quel “modello sociale europeo” basato su democrazia e diritti, che le politiche neoliberiste stanno smantellando. Più a fondo, la specie umana è unica, i popoli fin dai tempi del Sapiens hannosempre migrato, e iconfini tra le nazioni non sono altro che linee artificiali legati alla costituzione delpotere politico. L’Europa avrà un futuro se riuscirà a basarsi anzitutto su questa idea di uguaglianza, ma anche sul fatto che i popoli europei sono diversi per tradizioni, culture. Come nel rapporto uomo-donna, mantenendo il solido fondamento dell’uguaglianza, queste diversità possono costituire una ricchezza e una sfida da far valere come modello di socializzazione per tutta l’umanità: in fondo l'Europa è sempre stata un crogiuolo di conflitti da un lato, di contaminazioni e arricchimento tra culturedall’altro. Il Mediterraneo per secoli è stata un'area centrale nello sviluppo del mondo,proprio perchè il nostro mare metteva in comunicazione popoli con culture e tradizioni anche molto diverse. Lontani dal cosmopolitismo astrattoe dalla globalizzazione imposta dai mercati, come anche dal nazionalismo che mette i popoli gli uni contro gli altri, la sinistra deveproporre un'idea di Europa che recuperi questa possibilità di unire uguaglianza e diversità. 

Anche sul piano della pratica politica immediata, dobbiamo superare la contrapposizione – presente anche tra le forze della sinistra – tra chi vuole avanzare verso l’integrazione e chi ritiene invece che si debbano recuperare spazi di democrazia su base nazionale. È opportuno invece utilizzare tutti gli strumenti, nazionali e internazionali, per proporre questa nostra idea di socialità. Un esempio della complessa articolazione del conflitto è costituito dalla vicenda del Fiscal compact. Esso nacque nel 2012 come accordo intergovernativo, al fine di rendere più stringenti i criteri del trattato di Maastrichtdel 1992. Il Fiscal Compact fu approvato come trattato intergovernativo perché tre paesi europei (Gran Bretagna, Croazia e Repubblica Ceca) si rifiutarono di sottoscriverlo. Nel 2017 questo trattato, che era in scadenza, avrebbe dovuto essere inserito all’interno dei trattati europei ma a sorpresa, nel novembre del 2018,  la Commissione economica del Parlamento europeo ne ha rifiutato l’approvazione. Così, oggi, il Fiscal Compact non ha più base legale. Il trattato è stato bocciato anche grazie all’opposizione delle forze della sinistra radicale, ma il rappresentate della Lega non era presente alla votazione. In sostanza, mentre i governi chiedevano l’austerità, il parlamento europeo si è espresso per un’inversione di rotta, con i sovranisti della destra stranamente distratti in un passaggio cruciale. Non è all’interno della contrapposizione tra nazionalismo e globalismo, né in quella tra destra sovranista e neoliberismo, che può svilupparsi la civiltà europea. 

Left, n. 17, 26 aprile 2019

Con "la Sinistra" per una nuova cultura politica

Superamento dell’austerità, Green New Deal, difesa del lavoro, dei diritti dei lavoratori e dello Stato sociale, chiusura dei paradisi fiscali, accoglienza e solidarietà sono temi che con coerenza sono stati portati avanti solo dalle forze della Sinistra europea

di Andrea Ventura

Due ordini di ragioni, una interna e una internazionale, rendono cruciali queste elezioni europee. Sul piano interno si potrà verificare quanto le scelte del PD e del M5S siano riuscite a rendere una formazione che raccoglieva poco più del 17 % dei consensi, il più forte partito politico del paese. Perché di questo si tratta: da un lato il PD, piuttosto che evitare il peggior esito per il governo per il paese, ha scelto di rendere l’attuale maggioranza l’unica possibile, quasi a voler punire un’opinione pubblica che gli ha voltato le spalle; dall’altro il M5S ha deciso di assecondare l’iniziativa di Salvini, facendolo apparire come il vero uomo forte del governo: cavalcando temi quali la legittima difesa, l’invasione degli stranieri, la “famiglia tradizionale”, la “flat tax “, il sovranismo nazionalista, cioè temi di destra, la Lega ha per mesi dominato la scena politica lievitando nei consensi. Ora, dopo questo disastro - che se fosse stato programmato a tavolino non avrebbe potuto avere maggior successo - PD e M5S chiedono un voto per raggiungere il secondo posto nella graduatoria delle forze politiche. Sembra che in palio vi sia una medaglia d’argento in una competizione sportiva, e non una prospettiva di cambiamento da offrire a un paese stremato dalla crisi.

Sul piano europeo, la crisi economica si è trasformata in crisi sociale, politica e istituzionale. Dalla Brexit al movimento dei giubbotti gialli, fino alla formazione in Italia di un governo costituito da due partiti marginali o inesistenti 10 anni fa, la rabbia dei popoli ha colpito il cuore dell’Europa. Ad occidente di quest’area di crisi radicale abbiamo una Spagna sul punto di votare ancora. Ad oriente l’area attorno alla Germania soffre meno della crisi, ma mostra anch’essa segni di cedimento. Nell’insieme la stabilizzazione appare molto lontana.

In questo contesto la sinistra storica è parte del problema, non certo della soluzione. Appiattita all’ideologia neoliberista, come vediamo dai vuoti slogan di Macron e dall’ecumenismo di Zingaretti, essa trova la propria ragion d’essere solo nel costituirsi come argine al “sovranismo antieuropeista”, senza essere in grado di affrontare il cuore del problema: la protesta anti europea prospera proprio grazie alla condizione di abbandono che vivono quelle classi sociali che alla sinistra facevano riferimento. Così i vecchi assetti politici e le cosiddette forze anti establishment si giustificano l’una grazie all’altra, diffondendo indifferenza, paura, sfiducia: nulla sembra poter cambiare nella politica odierna.

Le forze che, in Italia, hanno costituito la nuova lista della “Sinistra”, hanno invece una fisionomia ben definita: superamento dell’austerità, Geen New Deal, difesa del lavoro e dello stato sociale, chiusura dei paradisi fiscali, accoglienza e solidarietà, temi questi che inutilmente cercherete nei programmi delle altre forze politiche. Il rifiuto di opachi accordi con chi in questi anni è stato corresponsabile delle devastanti politiche antisociali, è il necessario punto di partenza per raccogliere consensi. Le competizioni elettorali, però, sono anche occasioni per dibattere, diffondere idee, costruire alleanze e organizzarsi. Va quindi posto al centro della campagna elettorale non solo la critica alle politiche economiche neoliberiste, ma anche alla cultura politica che le sostiene.
Una delle idee più devastanti di questi decenni è stata il “trickle down” (sgocciolammo verso il basso): essa afferma che l’arricchimento dei più ricchi è un bene in quanto, in ultima istanza, ciò porta un maggior benessere per tutti. Questa idea, vera e propria proposta di secessione sociale, trova applicazione anche nei rapporti tra aree economiche e paesi. A essa va sostituita l’idea che i sistemi sociali sono come una catena, la cui capacità di tenuta non è legata all’anello più forte, ma a quello più debole. La crisi sociale europea, esplosa con il disumano trattamento subito dalla Grecia (uno dei paesi più fragili), si è rapidamente estesa a tutta l’Europa, mostrando quanto le sorti dei popoli siano intrecciate.

Left si propone da tempo come luogo di discussione per costruire una nuova cultura politica che ponga al centro il valore del rapporto tra le persone, e non lo sfruttamento del lavoro e della creatività altrui a fini di profitto. Sarà presente anche in questo difficile passaggio della vita politica del paese. Si tratta di lavorare affinché questa nuova cultura, ormai diffusa, possa essere anche forza politica.