Alle origini del neoliberismo. Un Nobel e un omicidio politico
di Andrea Ventura
Il
21 settembre di quarant’anni fa, a Washington, un’automobile
saltava su una bomba. Orlando Letelier e la sua giovane
collaboratrice dell’Institute for Political Studies, Ronni
Moffitt, perdevano la vita, mentre il marito di lei restava
gravemente ferito. Letelier era un personaggio di primo piano nel
governo socialista cileno. Esperto in questioni economiche e amico
personale di Allende, egli fu dapprima ambasciatore presso gli Stati
Uniti, poi ministro degli esteri e infine, al momento del colpo di
stato, ministro della difesa. Imprigionato e torturato per un anno
dalla giunta cilena, Letelier fu rilasciato su pressioni
internazionali e riparò negli Stati Uniti, dove lavorò attivamente
contro il governo di Pinochet denunciando gli appoggi che il regime
riceveva dalla comunità economica internazionale. Per le sue denunce
e per l’attività che svolgeva nell’organizzare l’opposizione a
Pinochet, Letelier era una spina nel fianco della giunta cilena.
Oggi,
a distanza di quarant’anni, possiamo utilmente rileggere quello che
fu il suo testamento. In un suo saggio pubblicato dal settimanale
progressista americano The Nation meno di un mese prima
dell’attentato (The Chicago Boys in Chile: Economic Freedom’s
Awfull Toll) Letelier, infatti, non si limita a denunciare le
brutalità della giunta, peraltro sotto gli occhi di tutti. Il suo
scritto verte piuttosto sullo stretto legame tra le violazioni dei
diritti umani perpetrati da Pinochet e le politiche economiche
attuate a seguito del colpo di stato. Come è possibile, si chiede
Letelier, che esponenti di istituzioni finanziarie pubbliche e
private si rammarichino per le torture, le persecuzioni e la
soppressione della democrazia, e al contempo si congratulino con
Pinochet per aver portato la libertà economica in Cile? Quale idea
di libertà hanno coloro i quali scindono libertà economica e
terrore politico, fingendo di non vedere quanto invece i tragici
eventi cileni mostrino il nesso che li lega?
Letelier si rivolge in
particolare a Milton Friedman, autore di un testo, Capitalismo e
libertà, dove sulla scia delle tesi del suo maestro von Hayek si
afferma che solo il liberalismo economico è compatibile con la
democrazia. La tesi fondamentale di Hayek e Friedman, infatti, è che
il mercato costituisce l’ordine naturale della società e ogni
interferenza con esso rappresenta un passo verso il dispotismo, la
dittatura e l’eliminazione delle libertà individuali. Ma la realtà
che Letelier ha sotto gli occhi è ben diversa: è l’imposizione
del fondamentalismo del mercato che si è associata alla distruzione
della democrazia. Come denuncia nel suo saggio, infatti, un gruppo di
economisti cileni formatesi all’università di Chicago con Friedman
e Harberger e finanziati dalla CIA – i “Chicago boys” – non
solo formularono in anticipo, fin nei dettagli, il programma
economico della giunta golpista, ma furono anche coinvolti in prima
persona nella preparazione del colpo di stato.
Le pagine di Letelier,
proprio nella misura in cui tolgono l’economia dal vuoto teorico e
pongono la disciplina nella prospettiva della sua valenza politica,
ci insegnano qualcosa che purtroppo vale anche per l’oggi. Nel
momento in cui Letelier scrive, cioè fino agli anni settanta del
secolo scorso, la teoria economica dominante era infatti quella
keynesiana. In Cile viene dunque messo in atto un esperimento sociale
basato sull’applicazione di teorie che a quel tempo erano
minoritarie. La giustificazione che Friedman e Harberger forniscono
per le politiche liberiste era che, per crescere nel lungo periodo,
il Cile aveva assolutamente bisogno di una terapia shock che facesse
piazza pulita delle interferenze delle politiche di Allende con le
forze del mercato. La giunta cilena ha dunque applicato quella
medicina: privatizzazioni di imprese statali, riduzione
dell’intervento pubblico nell’economia, distruzione delle
organizzazioni dei lavoratori, eliminazione dei sostegni sociali alle
famiglie povere, liberalizzazione dei movimenti delle merci e dei
capitali, via libera alla speculazione finanziaria, insomma
quell’insieme di ricette che oggi costituisce l’orientamento di
fondo delle politiche economiche in tutto l’Occidente, ebbe nel
Cile di Pinochet – come anche nell’Argentina di Videla e in altri
paesi del Sud America – una delle sue prime applicazioni. Anche le
conseguenze di quelle politiche, immediatamente denunciate da
Letelier – povertà, disoccupazione, accentramento della ricchezza
nelle mani di pochi, caos finanziario – anticipano quanto
osserviamo oggi in tutto l’Occidente a seguito della diffusione di
quelle stesse teorie economiche.
Gli anni settanta sono anni di crisi.
Come un’ampia letteratura ha ormai posto in evidenza, il
capitalismo occidentale aveva dunque bisogno di una teoria economica
che gli consentisse di recuperare un controllo sociale che sembrava
sfuggirgli. Lungi dal costituire una macchia, il coinvolgimento di
Friedman e dei suoi seguaci nelle politiche dei golpisti cileni
costituirono perciò un viatico per nuovi successi. Così, meno di un
mese dopo l’assassinio di Letelier, Milton Friedman riceve il
cosiddetto “Premio Nobel” della Banca di Svezia per l’economia.
Da allora le sue idee cominciano a soppiantare quelle keynesiane. Le
vittorie di Reagan e della Thatcher, l’emarginazione dei keynesiani
da istituzioni quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario
Internazionale, la costituzione di think-thank lautamente finanziati
da magnati, banche e industrie, poi l’affermazione negli anni
novanta del cosiddetto “Washington Consensus” – un insieme di
prescrizioni di politica economica basate appunto sulla fiducia
nell’operare spontaneo del mercato – fino alla costruzione della
moneta unica europea e alla definizione delle regole fiscali che
l’accompagnano, trovano infatti nelle tesi di Hayek e Friedman, e
nel neoliberismo in genere, il loro filo conduttore.
La tesi di
Letelier, nella sostanza, è che le politiche basate sul libero
mercato attuate dalla giunta non possono essere scisse dell’obiettivo
di alterare gli equilibri sociali e politici del paese. Violenza
politica e soppressione della democrazia da un lato, fondamentalismo
del mercato dall’altro, costituiscono dunque due aspetti
inscindibili di uno stesso progetto politico. Della stessa opinione
fu tra gli altri il celebre giornalista investigativo argentino
Rodolfo Walsh, catturato e ucciso a Buenos Aires il 25 marzo 1977.
Walsh, poco prima della sua morte, scrisse una lettera pubblica al
generale Videla dove, assieme alla denuncia dei crimini della giunta
– dalla descrizione dei metodi di tortura alla lista dei
desaparecidos, fino
all’ubicazione esatta delle fosse comuni – affermò che
crimine ancor maggiore è la “miseria pianificata” generata dalle
politiche economiche del regime, e che va ricercata in queste ultime
la ragione delle sofferenze inflitte al popolo argentino.
Oggi che i
principi del neoliberismo sono insegnati nelle università, diffusi
dagli organi di informazione e seguiti dalle classi dirigenti, oggi
che mostri della finanza come J. P. Morgan suggeriscono modifiche
alle costituzioni nate dalla sconfitta del fascismo per poter
avanzare più speditamente nella cancellazione dei diritti sociali,
vale un’analoga considerazione: oltre le critiche teoriche e le
denunce delle loro fallimentari conseguenze pratiche, la natura delle
politiche economiche poste in essere in Occidente non può essere
compresa dimenticando in quale contesto esse ebbero le prime
applicazioni.