Uguali e diversi, tutti cittadini
La legge sul diritto di cittadinanza basata sullo ius sanguinis affonda le proprie radici ideologiche in una mentalità razzista. La stessa che ispirò le vergognose leggi razziali del 1938
di Andrea Ventura
La legge sul diritto di cittadinanza basata sullo ius sanguinis affonda le proprie radici ideologiche in una mentalità razzista. La stessa che ispirò le vergognose leggi razziali del 1938
di Andrea Ventura
L’idea che le leggi razziali
del 1938 fossero una conseguenza di quell’avvicinamento tra Hitler
e Mussolini culminato nel Patto d’acciaio del 1939, non regge
all’analisi storica. L’Italia, infatti, aveva una propria
tradizione di pensiero razziale risalente a ben prima di quei
fatidici anni. Nutrito da figure quali i celebri economisti Pareto e
Maffeo Pantaleoni, lo statistico Gini, Rocco e Agostino Gemelli, il
razzismo fu infatti una componente significativa del pensiero sociale
italiano. Vale la pena di ricordarlo, oggi, anche perché non ha
altro fondamento, se non quello razziale, l’idea che l’identità
dei membri di un popolo possa essere definita su base biologica, e
dunque quest’ultima debba figurare come requisito per
l’acquisizione della cittadinanza.
In
tema di cittadinanza si hanno due principi: il primo, quello seguito
da paesi quali Stati Uniti, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito,
riconosce sotto alcune condizioni lo ius
soli, cioè muove
dall’idea per la quale la cittadinanza è assegnata a chi nasce sul
territorio nazionale. Il secondo principio, quello che vige in Italia
e che il Senato –
nonostante l’opposizione
della destra
e del Movimento 5 Stelle –
si spera riesca finalmente
ad abolire,
è basato all’opposto sul ius
sanguinis: è
cittadino chi, nato in Italia o all’estero, è di discendenza
italiana e non lo è, salvo il verificarsi di alcune condizioni, chi
nasce sul territorio italiano da genitori che non sono già cittadini
del paese. Quest’ultimo principio tradisce la sua origine nel
pensiero razziale: non contano la lingua, la cultura, l’istruzione,
o anche il periodo più o meno lungo di permanenza nel paese, ma vige
un’idea per la quale vi sarebbe, come indica la dizione stessa, un
diritto alla cittadinanza italiana che si dovrebbe trasmettere per
via fisico/biologica. Chi ne è privo è pertanto costretto a vivere
una condizione diversa, con meno diritti, in conseguenza appunto di
una circostanza a carattere genetico.
Ora,
a parte il fatto che non è rintracciabile alcuna specificità nel
sangue o nel patrimonio biologico che sia in grado di definire questa
italianità, è evidente il senso d’ingiustizia – o meglio la
vera e propria violenza – di cui questo principio è portatore. Si
stima in circa ottocentomila, infatti, la popolazione giovanile che
nel nostro paese, a causa di questa malsano fondamento per la
concessione della cittadinanza, è in vario modo discriminata.
Cittadini di serie B dunque, che studiano, lavorano, pagano le tasse,
hanno amicizie, affetti e riferimenti culturali del tutto
indistinguibili dai loro coetanei, ma non i diritti corrispondenti. E
se appare odiosa una società che esclude chi batte alle sue porte in
cerca di rifugio da guerre e miseria, a maggior ragione è odiosa la
creazione, tra quelli che a tutti gli effetti possono essere
considerati cittadini del paese, di due classi di persone sulla base
di una presunta diversità nell’eredità sanguigna.
Ma, al di là
della ridicola rivendicazione di un’identità umana basata sul
sangue in un paese come il nostro che, per storia e posizione
geografica, è sempre stato caratterizzato da ingenti flussi
migratori sia in entrata sia verso paesi lontani, esistono “razze”
umane? Se la risposta, com’è ovvio, è negativa, su che base
possiamo affermare l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani?Un
primo argomento relativo all’unità della specie umana è legato al
fatto che, com’è ormai certo, siamo tutti discendenti da un ceppo
unico, originario dell’Africa, vecchio di circa 200.000 anni.
Recentissime ricerche hanno spostato ancora all’indietro
quest’origine, ma, al di là di questo, ciò che rileva per il
nostro argomento è che la specie umana ha un’origine unica e ha
colonizzato il pianeta caratterizzandosi, più che per la
sedentarietà, per il nomadismo, l’esplorazione di terre
sconosciute e la capacità di adattamento agli ambienti anche più
estremi. Ma questa capacità di esplorare, modificare, inventare
strumenti – come anche forme artistiche – a che cosa fa
capo?
Secondo la teoria della nascita di Massimo Fagioli la
specificità umana è legata a una particolare reazione che la
materia cerebrale attiva quando, alla nascita, è colpita dallo
stimolo luminoso. Con questa reazione l’essere umano annulla ciò
che lo circonda e crea contestualmente una realtà mentale intera che
definisce la sua identità, appunto, di essere umano. Questa realtà
interna dapprima spinge l’essere umano a immaginare l’esistenza
di un altro essere simile a se stesso con cui prendere rapporto, poi,
sviluppandosi e arricchendosi nel corso della vita per mezzo di
esperienze e conoscenze, fa sì che gli uomini siano creativi di
fenomeni quali l’arte, la scienza, la scrittura, come anche la
cultura in senso lato e
la storia, fenomeni questi del tutto assente nelle altre specie
viventi che seguono invece comportamenti ripetitivi, prevedibili e
largamente prefissati.
Gli uomini sono dunque uguali non solo per le
loro caratteristiche fisiche e biologiche, ma soprattutto per le loro
caratteristiche psichiche, e in particolare per la dinamica della
formazione del pensiero che
consente loro di inventare e di modificare la propria condizione.
Questa dinamica è uguale per tutti, anche se poi ciascuno sviluppa
contenuti propri in funzione dell’esperienza, delle opportunità,
della cultura in cui si
forma, e forse anche delle
personali
capacità creative. L’individuo si può anche ammalare se subisce
delle violenze – non solo fisiche, ma soprattutto di tipo psichico
– specie nei primi anni di vita. Per questo gli esseri umani
possono essere creativi, ma anche distruttivi: se diventano tali, la
loro distruttività è di natura del tutto diversa da quella delle
altre specie, le quali, se distruggono, lo fanno per sopravvivere,
non certo per esercitare un’inutile violenza.
Ora, per tornare al
nostro tema, i ragazzi a cui molti, in questi giorni, verrebbero
negare ancora
la cittadinanza, subiscono una violenza che non è solo quella legata
alla mancata possibilità di esercitare dei diritti pienamente
riconosciuti ai loro coetanei, dunque una violenza legata a una
discriminazione materiale. I giovani che questa legge attendono da
anni subiscono anche una violenza psichica legata a un pensiero per
il quale essi costituirebbero un’umanità inferiore. Ma l’umanità
inferiore è quella di coloro che appunto negano diritti elementari a
una parte sempre più cospicua della nostra società sulla base di un
criterio discriminatorio privo di senso. Costoro ci fanno dubitare
che, dai tempi dei nostri progenitori africani, tutto questo
progresso ci sia effettivamente
stato. O meglio,
se c’è stato, esso ha investito la scienza, la tecnica, la potenza
materiale, mentre è rimasto povero, se non addirittura potrebbe
essere arretrato, per quanto riguarda il piano del rapporto sociale.
Da questa povertà nella socialità hanno origine sia
quell’incapacità nel
gestire in modo equilibrato il progresso economico, generando la
distruzione degli equilibri naturali del pianeta, sia l’artificiosa
creazione di barriere tra individui, popoli e culture.
Eppure
non possiamo guardare indietro, dunque non abbiamo scelta: la
caratteristica umana è la contaminazione, il nomadismo,
l’aspirazione a una vita migliore, la realizzazione nel rapporto
con i propri simili. Oltre la lotta contro ogni discriminazione, è
necessario che si abbia chiarezza su dove volgere lo sguardo affinché
possa affermarsi una nuova idea di uguaglianza e di giustizia
sociale, per l’effettivo esercizio dei diritti, non solo quelli di
cittadinanza.