Fine vita e ius soli, perché la Chiesa dice no.
La concezione che vede contrapposti i diritti dell'uomo rivendicati dalla rivoluzione francese, e i diritti della persona che proverrebbero da dio, non è stata superata. Così come non si è mai pienamente affermata la dottrina dell'uguaglianza indipendentemente dal credo religioso
di Andrea Ventura
E
così i centristi, che alla Camera avevano dato il loro assenso, non
sono stati più disponibili a fornire alla legge sullo ius soli il
sostegno per la sua approvazione al Senato.
L’ostilità alla legge del Movimento 5 Stelle, della destra,
e il mancato appoggio di una parte della maggioranza, hanno spinto il
governo a rinviare a dopo l’estate. Non sappiamo se questo sia solo
un rinvio, oppure segni la fine di quella legge, ma al di là delle
ragioni contingenti che avrebbero indotto il governo a rinunciare,
qualche domanda dobbiamo porcela. Come mai proprio i centristi, il
partito più vicino alla Chiesa – che dunque sappiamo a quali
sollecitazioni risponda – , ha cambiato posizione su questa scelta
di civiltà. Come mai il cattolicissimo Mattarella ha espresso
sollievo per la rinuncia del cattolicissimo Gentiloni? E perché, pur
vedendo la legge con favore, su questo tema la Chiesa ha mantenuto un
certo riserbo? Non invochiamo qui certo l’ennesima ingerenza, ma
porci appunto qualche domanda sul fatto che il mondo cattolico sia
stato così tiepido nei confronti della legge, fornendo infine un
contributo decisivo alla sua mancata approvazione. E la risposta non
è difficile da trovare.
La dottrina cattolica considera come atti
d’amore la carità, il sostegno alla sofferenza, l’aiuto ai
bisognosi, ma quando si tratta dell’esercizio dei diritti e del
principio di uguaglianza ha sempre mostrato estrema cautela. La
ragione di ciò va individuata in un nodo di difficile scioglimento.
Per la Chiesa, infatti, i diritti non provengono dalla sovranità
popolare, dunque non sono connessi allo sviluppo della democrazia e
all’esercizio della libertà, ma da Dio. E questo è un fatto che
l’analisi della storia e del pensiero cattolico può facilmente
accertare. Non solo la Chiesa ha sempre contrastato la concezione dei
diritti dell’uomo come definiti dalla Dichiarazione del 1789 –
affermando che la libertà di culto, di pensiero, di stampa, come
anche l’idea che tutti gli uomini siano uguali, sono principi
contrari alla religione cattolica –, ma anche quando, con la Rerum
Novarum del 1891, Leone XIII ha riconosciuto alla “persona”
alcuni diritti di tipo economico (giusto salario, vita dignitosa,
diritto alla proprietà, contratti e protezioni nei luoghi di lavoro)
egli è rimasto ben lontano dal sostenere quei diritti politici che
erano lo strumento tramite il quale le classi subalterne potevano
emanciparsi anche economicamente. È per questa sua opposizione alla
libertà politica che la Chiesa si è sempre trovata a suo agio
accanto alle peggiori dittature, da quella di Mussolini, a Franco (la
cui costituzione fu a lungo considerata come modello ideale per i
rapporti tra Stato e Chiesa), all’America latina.
L’ostilità
della Chiesa all’affermazione dei diritti dell’uomo prosegue fino
al secondo dopoguerra, quando, dopo le catastrofi generate dalla loro
negazione, con le discussioni e le lacerazioni tra i cattolici
attorno ai principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite del 1948,
e poi con Giovanni XXIII, si giunge al fatto che la Chiesa riconosce
i diritti della “persona umana”, indicando però con questa
dizione la necessità che i diritti dell’uomo rimangano subordinati
ai diritti della persona: questi ultimi, in realtà, più che diritti
dell’individuo sarebbero diritti di Dio, e di essi dunque la Chiesa
vuole esserne l’interprete.La libertà e l’uguaglianza (tra
uomini e donne anzitutto, ma anche tra battezzati e non battezzati,
tra credenti e non credenti, tra ebrei – definiti fino al Concilio
Vaticano II come “popolo deicida” – e cattolici, e via
elencando) dunque, non sono temi che trovano spazio nella sua
dottrina. Così, anche per questo, la Chiesa è a suo agio quando
deve fare la carità, ma lo è molto meno quando si tratta di
affermare un’uguaglianza nei diritti. Dunque la legge sulla
cittadinanza può anche essere messa da parte.
Certo, il mondo
cattolico ormai è un mondo assai articolato: nel secondo dopoguerra
si è mosso con relativa autonomia, portando grandi masse alla
partecipazione alla vita politica dell’Italia post fascista; oggi
le organizzazioni cattoliche svolgono un ruolo importante su diversi
terreni, anzitutto quello dell’accoglienza, tema che, allo stato
attuale, non può certo essere trascurato. Eppure quella concezione
che vede contrapposti i diritti dell’uomo rivendicati dalla
Rivoluzione francese, e i diritti della persona che proverrebbero
invece da Dio, non è mai stata superata, così come non si è mai
pienamente affermata la dottrina dell’uguaglianza indipendentemente
dal credo religioso. Forse è anche per questo che frange del mondo
cattolico vedono con diffidenza l’allargamento della cittadinanza a
ragazzi molti dei quali sono vissuti in famiglie non
cattoliche.
Questo nodo non risolto lo ritroviamo nelle posizioni
della Chiesa sul fine vita, altra legge approvata alla Camera la cui
discussione definitiva, come è accaduto per lo ius soli, è
stata
rinviata a dopo l’estate, rischiando di non
essere approvata prima della fine della legislatura.
L’idea di fondo dei cattolici è che la vita
umana non appartiene all’individuo, ma a Dio, cosicché se Dio non
le pone un termine, medico, paziente e familiari non possono operare
in autonomia. In sostanza, se Dio ha deciso diversamente, lo Stato
non può garantire il diritto dell’individuo ad una morte
dignitosa.
Anche qui abbiamo divergenze all’interno del mondo
cattolico: alcuni si dichiarano favorevoli ad una legge che lasci al
medico e al paziente, nei casi dei malati terminali, ogni decisione
sul proseguimento delle cure, altri invece sono contrari, eppure la
dottrina ufficiale è chiara. La troviamo espressa con precisione in
quel testo che purtroppo molti a sinistra hanno apprezzato:
l’enciclica di papa Francesco, Laudato sì. L’enciclica
ruota attorno al no alla cosiddetta “cultura dello scarto”. No
dunque all’aborto, al fine vita, alla contraccezione e al controllo
delle nascite, assimilati, in questa idea dello scarto,
all’inquinamento e al consumismo. Ancora un no alla libertà umana
dunque, perché nel cuore umano ferito dal peccato si nascondono
violenza e malattia (§2). Dio, ricorda papa Francesco, non ha
“affidato il mondo all’essere umano”, “la vita umana stessa è
dono di Dio” (§5). E ancora “il libro della natura è uno e
indivisibile” (§6), tutto è connesso, poveri, embrioni, disabili,
dunque “non è neppure compatibile la difesa della natura con la
giustificazione dell’aborto” (§120).
L’enciclica termina con
una nota di fiducia nel futuro, in uno strano futuro, quello che ci
attende dopo la morte, dunque in un’eternità che costituisce
l’annullamento assoluto del fatto che la vita umana ha un inizio e
una fine:
“Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita
bellezza di Dio (...) La vita eterna sarà una meraviglia condivisa,
dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto
e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati”
(§243).
Contano poco dunque queste nostre misere vicende terrene.
Lotte per i diritti, povertà, sofferenze, delusioni e ingiustizie
saranno tutte superate nella beatitudine eterna: la confusione tra
vita e morte, tra il fine della vita e la fine della vita, raggiunge
qui gli esiti più disastrosi.Il dramma nei rapporti tra la sinistra
e il mondo cattolico è che quest’ultimo ha un pensiero, o meglio
un insieme di credenze basate su alcuni dogmi, mentre la sinistra
appare priva di un pensiero alternativo sulla realtà umana e sulla
società. Non bisogna infatti dimenticare che il rapporto con Dio,
per un cattolico, è più importante del rapporto interumano, e i
voleri di Dio – come interpretati dalla Chiesa di Roma – contano
più dei voleri liberamente espressi dagli esseri umani. Lunghe
battaglie hanno per questo accompagnato conquiste civili elementari
quali il divorzio, la contraccezione e l’aborto, duri scontri hanno
segnato leggi come quella sulla fecondazione assistita, e oggi siamo
ancora in attesa di una legge decente per il fine vita.
Tutto questo è
particolarmente grave nella misura in cui ci si accinge a costruire
una nuova formazione o aggregazione delle forze della sinistra. La
paralisi politica del PD, che vede il partito lontano dai temi della
giustizia sociale, perché compromesso col neoliberismo, e in
difficoltà su due leggi care alla sinistra come quella sulla
cittadinanza e sul fine vita, perché compromesso con il
cattolicesimo, mettono in evidenza la necessità che questa nuova
forza politica sia nuova anche sul piano delle idee. La dialettica
con i cattolici va svolta a partire da un soggetto politico autonomo
da quelle credenze, e non da un paralizzante compromesso con esse.
Più che “posizionarsi” in funzione del vuoto lasciato dalla
deriva del PD, come stanno facendo pezzi della vecchia classe
dirigente, si tratta di individuare strade che non si siano già
mostrate fallimentari.