giovedì 12 settembre 2019

Left n. 20, 17 maggio 2019

PER USCIRE DALLA CRISI RIPRENDIAMOCI L’EUROPA

di Andrea Ventura

Come nota il celebre sociologo tedesco Elias, dall'annomille osserviamo che lo sviluppo umano sembra condurre verso la formazione di aree politico economiche sempre più vase. Dai piccoli feudatari si è passati ai comuni, poi a più ampi aggregati regionali, infine ai moderni stati nazionali. Oggi abbiamo principalmente tre grandi aree geopolitiche, i cui poli sono rappresentati dagli Stati Uniti, dall’Europae dalla Cina. Questo fenomenoha subito una forte accelerazione con lo sviluppo delle nuove tecnologie; è ormai possibile comunicare con immediatezzada ogniparte del mondofavorendo la diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, mentre le grandi imprese sfruttano questa possibilità ramificandosi in ogni angolo del pianeta: pagano imposte irrisorie nei paradisi fiscali, offrono occupazione dove i salari e le protezioni sociali sono inferiori, inquinanodove ci sono meno leggi sull’inquinamento ecc. Le nostre vie di trasporto sono ormai le arterie di un sistema produttivo globale, in gran parte interno alle stesse imprese multinazionali.

Questa realtà può essere considerata come il risultato della tendenza degli esseri umani ad aggregarsi per scambiare e comunicare, e, come si è detto, dello sviluppo tecnologico. Inoltre, più l’area politico-economica è vasta e coesa, più è potente, maggiore è il condizionamento che esercita nei confronti di chi cerca di restarne al di fuori. Le sorti dell’Europa vanno inquadrate in questo sviluppo storico di lungo periodo. Il dramma è che questa tendenza all'aggregazione, negli ultimi decenni, è avvenuta all’insegna del neoliberismo economico. L’Europa dei trattai e della moneta unica ha in sostanza cavalcato questa tendenza all’aggregazione costituzionalizzando dei principi economici errati. Così, se negli Stati Uniti un governo democraticamente eletto può sostenere l’economia ricorrendo al debito pubblico, ai trasferimenti fiscali e alla politica monetaria, in Europa ciò non è possibile. La BCE, ad esempio, ha nel suo statuto il principio secondo il quale la moneta influenza il livello dei prezzi. Pertanto gli è vietato il finanziamento dei debiti governativi e il suo compito sarebbe quello di controllare l’inflazione. Dopo anni di politiche monetarie espansive, l’inconsistenza di questo principio dovrebbe essere ormai evidente, eppure quello statuto non è in discussione e si continua a sostenere che essa “vigila” sull’inflazione. 

L’altro elemento drammaticoè rappresentato dal fatto che le forze della sinistra storica hanno aderito al neoliberismo. Rileggendoil discorso che tenneGiorgio Napolitano per il Partito Comunista Italiano nel1978in occasione del dibattito parlamentare sull’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo, troviamo un’analisi lucidissima delle conseguenze per le classi lavoratrici dell’affermazione di questo modello di integrazione. Eppure, nei decenni seguenti, anche le classi dirigenti delle organizzazioni dei lavoratori hanno aderitoad esso. In sostanza sono stati liquidati cent’anni di storia del movimento operaio, lasciando le classi più disagiate, ma ormai anche i ceti medi, prede della crisi economica e della destra nazionalista. Ci troviamo così in una condizione difficilissima: con la crisi che incalza e che richiederebbe una proposta politica di ampio respiro, abbiamo invece la strada sbarrata sia dalla rigidità dei trattati, sia dalla mancanza di forze sufficienti per interpretare in modo proficuo questa necessità di cambiamento.

La strada della modifica dei trattati è accidentata. È certamente vero che essi, come tutte le cose umane, possono essere cambiati, ma è assai complesso stabilire come, e soprattutto con quali strumenti di pressione, questo risultato possa essere ottenuto. Altrettanto impervia è la strada di chivuole uscire dall’euro, oppure dall’Europa. È questa una via d’uscita impraticabile, e lo è soprattutto per un paese come l’Italia che conta oltre 400 miliardi di euro di esportazioni, che difficilmente potranno essere salvaguardate se il paese sceglie di scontrarsi con i suoi storici alleati.Le forze della sinistra radicale devono quindi muoversi all’interno di una difficile contraddizione:l'Europa attualenon ci piace,ma non abbiamo ancora forze sufficienti per imporre il necessario cambiamento. Certo, è necessario ricordare sempre le principali battaglie che devono essere condotte in Europa (lotta ai paradisi fiscali, modifiche nella gestione della moneta, difesa del lavoro, riconversione ecologica dell’economia, accoglienza, istruzione ecc.) ma per un’azione volta al lungo periodo le nostre forze devono essere in grado di formulare una ben definita proposta culturale. 

Questa proposta si deve basare sull’idea dell’uguaglianza. Solo la ricerca sull’uguaglianza ci consente di sviluppare una prospettiva politica alternativa a quella delle destre. L’idea di uguaglianza è a tutti gli effetti un’idea fondativa della sinistra, e deve basarsi anzitutto sull’uguaglianza tra uomini e donne. Proviamo a fare un po' di ricerca. Salvinièandato a Verona a parlare della famiglia tradizionale, poi però la Lega è favorevole alla riapertura delle case chiuse. I virili padani vorrebbero la donna da subordinata all’uomo nella cosiddetta famiglia tradizionale, e a loro disposizione in una casa chiusa controllata dalla sanità pubblica.Sorge spontanea la domanda sulla ragione ultima per la quale Salvini e la destra hanno queste terribili idee sulla sessualità e sulle donne. La risposta va cercata nel fatto che il rapporto uomo-donnaesprime in massimo grado il rapporto con il diverso da sé.Le altre diversità, come quelle legate al colore della pelle, allalingua, alle tradizioni e alla cultura sono molto più relative. Il cuore della difficoltà nella composizione tra uguaglianza e diversità è lì, nel rapporto uomo-donna, enon è un caso che la destra abbiaquesta idea delle donne. La diversità per loro implica la negazione dell’uguaglianza, dunque un giudizio di valore su chi è superiore e chi è inferiore, che poi ripropongono nei confronti dei migranti, dei rom, dei poveri e dei disoccupati.

Questa idea di uguaglianza la dobbiamo mettere anche al centro delle nostre proposte per l’Europa. I popoli europei hanno alcune tradizioni politiche e culturali che li uniscono. Tra queste, appunto, vi è un secolo di lotte sociali che ha condotto alla costruzione di quel “modello sociale europeo” basato su democrazia e diritti, che le politiche neoliberiste stanno smantellando. Più a fondo, la specie umana è unica, i popoli fin dai tempi del Sapiens hannosempre migrato, e iconfini tra le nazioni non sono altro che linee artificiali legati alla costituzione delpotere politico. L’Europa avrà un futuro se riuscirà a basarsi anzitutto su questa idea di uguaglianza, ma anche sul fatto che i popoli europei sono diversi per tradizioni, culture. Come nel rapporto uomo-donna, mantenendo il solido fondamento dell’uguaglianza, queste diversità possono costituire una ricchezza e una sfida da far valere come modello di socializzazione per tutta l’umanità: in fondo l'Europa è sempre stata un crogiuolo di conflitti da un lato, di contaminazioni e arricchimento tra culturedall’altro. Il Mediterraneo per secoli è stata un'area centrale nello sviluppo del mondo,proprio perchè il nostro mare metteva in comunicazione popoli con culture e tradizioni anche molto diverse. Lontani dal cosmopolitismo astrattoe dalla globalizzazione imposta dai mercati, come anche dal nazionalismo che mette i popoli gli uni contro gli altri, la sinistra deveproporre un'idea di Europa che recuperi questa possibilità di unire uguaglianza e diversità. 

Anche sul piano della pratica politica immediata, dobbiamo superare la contrapposizione – presente anche tra le forze della sinistra – tra chi vuole avanzare verso l’integrazione e chi ritiene invece che si debbano recuperare spazi di democrazia su base nazionale. È opportuno invece utilizzare tutti gli strumenti, nazionali e internazionali, per proporre questa nostra idea di socialità. Un esempio della complessa articolazione del conflitto è costituito dalla vicenda del Fiscal compact. Esso nacque nel 2012 come accordo intergovernativo, al fine di rendere più stringenti i criteri del trattato di Maastrichtdel 1992. Il Fiscal Compact fu approvato come trattato intergovernativo perché tre paesi europei (Gran Bretagna, Croazia e Repubblica Ceca) si rifiutarono di sottoscriverlo. Nel 2017 questo trattato, che era in scadenza, avrebbe dovuto essere inserito all’interno dei trattati europei ma a sorpresa, nel novembre del 2018,  la Commissione economica del Parlamento europeo ne ha rifiutato l’approvazione. Così, oggi, il Fiscal Compact non ha più base legale. Il trattato è stato bocciato anche grazie all’opposizione delle forze della sinistra radicale, ma il rappresentate della Lega non era presente alla votazione. In sostanza, mentre i governi chiedevano l’austerità, il parlamento europeo si è espresso per un’inversione di rotta, con i sovranisti della destra stranamente distratti in un passaggio cruciale. Non è all’interno della contrapposizione tra nazionalismo e globalismo, né in quella tra destra sovranista e neoliberismo, che può svilupparsi la civiltà europea.