Varoufakis,
un battitore libero si aggira per l’Europa
Il
meccanismo di costruzione del potere è costruito da reti e canali
d’informazione all’interno dei quali politici ed economisti,
opinionisti e media, sono costretti a coprire la verità, sostiene
Yanis Varoufakis. Chi sceglie di dirla, paga con l’esclusione dai
circuiti informativi e dal potere.
Il
libro dell’ex ministro
greco delle finanze (Adults
in the Room. My Battle With Europe’s Deep Establishment,
The Bodley Head, London, 2017)
è
una denuncia della capitolazione della
sinistra e dell’essenza di democrazia nell’Europa di oggi.
Colloqui e riunioni, ufficiali e informali, sono riportati nel
dettaglio.
Dedicato “a coloro che cercano un compromesso, ma preferirebbero essere schiacciati che finire compromessi”, mostra l’impossibilità, in assenza di una ricostruzione della sinistra, di un’economia basata sulla solidarietà tra i popoli.
Dedicato “a coloro che cercano un compromesso, ma preferirebbero essere schiacciati che finire compromessi”, mostra l’impossibilità, in assenza di una ricostruzione della sinistra, di un’economia basata sulla solidarietà tra i popoli.
di
Andrea Ventura
La
sera del 15 aprile 2015 il
ministro
delle finanze greco
Yanis
Varoufakis ha
un incontro riservato con
Lawrence Summers. Nella penombra del bar di un albergo di Washington,
davanti a un bicchiere di whisky, l’ex
consigliere economico di Obama
pone a Varoufakis la seguente alternativa: deve decidere se essere un
insider, oppure un outsider. Se sceglie la prima strada, oltre
all’accesso alle informazioni rilevanti ha la possibilità di
partecipare a importanti decisioni sulle sorti dei popoli. Deve però
rispettare una regola fondamentale: non ribellarsi agli altri
insider, né denunciare agli outsider quello che gli insider dicono e
fanno. Se invece sceglie di essere un outsider, mantiene la libertà
di esprimere le proprie opinioni, ma paga questa libertà con
l’essere ignorato dagli insider, dunque con l’irrilevanza delle
sue posizioni.
L’apertura del libro di Varoufakis Adults
in the Room,
è illuminante. Quello che molti intuiscono, fin dalle prime pagine
del volume è raccontato con precisione: il meccanismo di costruzione
del potere è costituito da reti e canali d’informazione
all’interno dei quali politici ed economisti, ma anche opinionisti
e mezzi di comunicazione, sono costretti a coprire la verità,
oppure, se scelgono di dirla, pagano questa scelta con l’esclusione
dai circuiti informativi e dal potere. L’opacità e la copertura
delle informazioni rilevanti, o più semplicemente l’attitudine
alla menzogna, sono in sostanza la naturale condizione di ogni
insider. Illuminante è però tutto il libro di Varoufakis, il quale
nell’occasione risponde a Summers di essere per carattere un
outsider, ma che è disposto a comportarsi come un insider se questo
può servire ad aiutare il proprio paese; poi
Varoufakis, nell’impossibilità di cambiare il corso degli eventi,
racconta nel dettaglio, da outsider, tutto quello che ha visto e
sentito nei mesi in cui ha avuto la possibilità di vivere tra gli
insider. Unico nel suo genere, il volume ci consente pertanto di
comprendere i meccanismi del potere nell’Europa di oggi e
il
ruolo dei vincoli monetari nel condizionare la sovranità dei paesi.
La
lettura del
volume è
imprescindibile per chiunque voglia seriamente affrontare
il tema della democrazia
nell’ambito dell’attuale
costituzione europea.
La
prima menzogna che gli insider sono costretti a raccontare, e i media
acriticamente a riprendere, riguarda la questione del debito della
Grecia e la necessità delle politiche di austerità per ripagarlo.
Nel suo
primo
incontro con Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario
Internazionale, Varoufakis spiega
che, se
è vero che una famiglia indebitata, per restituire un debito, deve
ridurre i consumi, la stessa logica non si applica ai governi; la
spesa statale, infatti, sostiene
l’economia ed è fonte
di reddito per i cittadini, perciò le politiche di austerità,
indebolendo
il
sistema economico, riducono
le entrate dello stato e rendono
più difficile al governo onorare i propri debiti. La risposta della
Lagarde è sconcertante: “Hai ovviamente ragione, Yanis, gli
obiettivi su cui i creditori insistono non possono essere raggiunti.
Ma devi capire che abbiamo investito troppo in questo programma (di
austerità), e dunque non possiamo tornare indietro. La tua
credibilità dipende dall’accettare di lavorare all’interno del
programma”. Il
capo del Fondo Monetario Internazionale dice dunque
al
ministro delle finanze che le politiche imposte al suo paese non
possono funzionare, ma che non c’è modo di fare altrimenti: la sua
“credibilità” - come insider appunto - consiste nel continuare a
imporre inutili sofferenze alla popolazione.
La
ragione è presto detta. Abbiamo a suo tempo ricostruito anche noi su
left
il meccanismo del cosiddetto salvataggio della Grecia (Controstoria
della crisi greca, left n. 10, 21 marzo 2015), salvataggio che in realtà, lungi
dall’aver aiutato il popolo greco, si è risolto in una colossale
truffa ai danni di
tutti gli europei.
Il debito greco nei confronti delle banche (principalmente francesi e
tedesche), infatti, è stato trasferito agli stati, anche a
quelli
più poveri della stessa Grecia, cosicché un default della Grecia,
oggi, rischia di essere destabilizzante per l’intero continente.
Scorre dunque nelle pagine del volume il film di una classe dirigente
europea intrappolata nelle proprie menzogne e nei doppi giochi: da
una parte la realtà di un paese, la Grecia, che non può uscire
dalla sua
crisi senza l’abbandono
delle politiche seguite finora, dall’altra
un messaggio ripetuto all’infinito per il quale, per la Grecia come
per gli altri paesi indebitati, l’austerità e l’adesione ai
dogmi del neoliberismo sarebbero l’unica soluzione. Scorrono anche
le miserie umane e le doppiezze, in ossequio appunto alla loro
posizione di insider, dei vari leader della sinistra socialista e
socialdemocratica.
Varoufakis racconta del suo incontro con Michel
Sapin, ministro delle finanze del governo Hollande, che in una
conversazione privata esprime pieno sostegno alle sue richieste –
ristrutturazione del debito, politiche fiscali
compatibili con le condizioni del paese, riforme che colpiscano gli
oligarchi, rispetto della sovranità del paese e dell’esito
elettorale – e pochi minuti dopo, in una conferenza stampa
pubblica, con durezza richiama il ministro greco al rispetto delle
politiche di austerità. “Devi capirlo Yanis, la Francia non è più
quella di una volta” gli ricorda Sapin al termine della conferenza
stampa: non è più quella di una volta da quando Hollande, eletto
nel 2012 con un programma contrario all’austerità, fu informato
dal governatore della propria Banca centrale che era impensabile
contrastare Berlino perché senza il sostegno della Banca Centrale
Europea, dunque della Germania, il sistema bancario francese sarebbe
andato in frantumi. Pertanto, se anche la Francia fu costretta a
cedere, cosa potrebbe fare la piccola Grecia? Un’analoga doppiezza
Varoufakis la sperimenta tra
i tanti con
Sigmar Gabriel, Ministro dell’economia tedesco della SPD, e
con Pierre
Moscovici, presidente della Commissione Europea, umiliato
dall’arroganza di Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, vero
luogo dove si prendono le principali decisioni sulle sorti dei popoli
europei ma che, come si scopre nel volume, è privo di qualsiasi
statuto legale. L’asse tra l’olandese
Dijsselbloem,
il potente ministro delle finanze tedesco Shäuble,
e la Merkel, è troppo saldo
perché Varoufakis e il governo greco possano aver
successo nell’opporsi alla devastazione del paese.
Il
volume di memorie di Varoufakis ci
consente anche
di seguire
tutte le fasi
di quella vera e propria guerra mediatica
ed economica
attivata
per piegare il governo greco alle politiche di austerità. In
conformità al mandato ricevuto dagli elettori il
25 gennaio 2015,
il governo greco cerca di uscire dalla logica dei cosiddetti
“salvataggi”: chiede pertanto una ristrutturazione del proprio
debito, l’abbandono delle politiche di austerità, il
recupero della sovranità fiscale per colpire gli oligarchi e
l’evasione (il
ministro
delle finanze è privo di controllo sui suoi uffici fiscali, affidati
invece ai creditori), il varo d’iniziative per far fronte
all’emergenza umanitaria del paese. All’interno
del governo Varoufakis
sostiene
fermamente che
la Grecia non debba abbandonare la moneta unica, ma ritiene
anche che
sarebbe inutile entrare in una trattativa con le più potenti
istituzioni del mondo senza un piano da attivare nell’eventualità
che non si
giunga
ad
un compromesso onorevole. Egli pensa quindi
che il governo
debba
dotarsi di alcuni deterrenti da far valere nella trattativa: la
minaccia di default sui titoli di stato detenuti dalla BCE, la
predisposizione di una moneta fiscale, una proposta
di legge
che riporti la Banca centrale sotto il controllo del governo. Questi
deterrenti,
se usati con accortezza, a suo avviso possono servire per indicare
che il governo greco, pur non volendolo, piuttosto che abdicare
alla propria sovranità
è disposto a uscire dalla moneta unica, innescando una crisi di
enormi proporzioni negli assetti dell’Europa.
Sul piano economico i
margini per un accordo erano ampi. Vi
è sempre, infatti,
un
interesse comune tra i creditori e i debitori affinché i debiti
impossibili da esigere siano cancellati (o formulati diversamente),
lasciando quelli
che il
debitore può
realisticamente
onorare riprendendo a produrre. Le
proposte tecniche di Varoufakis trovavano
pertanto
apprezzamento in una parte del mondo finanziario e
dell’Amministrazione americana, come anche in think-tank liberisti
quali l’Adam Smith Institute che, ricorda con
ironia l’autore
del
volume,
rappresentava tutto quello che egli aveva combattuto nella sua vita
accademica. Sul
piano politico, invece, un
successo del nuovo governo greco costituiva un incubo per le
istituzioni europee: altri popoli e altri governi sarebbero
stati indotti a
perseguire quella stessa strada, rendendo non più praticabili in
Europa le
politiche di austerità. Nell’opinione di Shauble, inoltre, se
ciascuno dei diciannove paesi della moneta unica avesse il diritto di
rivedere gli accordi ogni volta che elegge un nuovo governo, l’Europa
diventerebbe ingovernabile. Dunque o austerità o democrazia, dunque
ogni arma
fu impiegata per piegare il paese.
L’arma
principale fu la vera e propria azione eversiva esercitata dalla
Banca Centrale Europea di Mario Draghi, che, riducendo la liquidità
alle banche greche, le costrinse infine
alla
chiusura. I
dettagli e i tempi della manovra sono illustrati
nel volume. Non solo, ma Draghi si rifiuta anche di versare al
governo greco 1,9 miliardi di
profitti ottenuti su operazioni di compravendita compiute dalla
BCE.
Le ripetute richieste di Varoufakis che la BCE rispetti i suoi
obblighi, consentendo alla Grecia di saldare a sua volta una rata del
proprio debito verso il FMI per un importo analogo, cadono
regolarmente nel vuoto.
Accanto al ricatto economico e al blocco delle
trattative, Varoufakis subisce
anche un pesante linciaggio mediatico: inconcludente, dilettante,
narcisista, privo d’idee e di proposte concrete, i mezzi di
comunicazione travisano e alterano i fatti,
rendendo invece acritici omaggi alla concretezza, al realismo e alla
buona volontà dei negoziatori europei. Nel volume troviamo invece
un
resoconto completo degli scontri e i colloqui intercorsi, finora
privi di smentita, che ci mostrano piuttosto come tutte le sue
proposte, anche le più moderate, cadessero nel vuoto.
Nel corso dei
mesi le
divergenze tra lui e i membri del partito aumentano, cosicché
la sua posizione
si
indebolisce.
Tsipras, con cui egli aveva concordato la linea da seguire prima di
accettare l’incarico ministeriale, confidava nell’appoggio della
sinistra europea, degli Stati Uniti, della Cina e della Russia.
Presto realizza invece di essere completamente isolato. Si affida
dunque alle promesse della Merkel, che appare in effetti come l’unica
persona che avrebbe potuto favorire
un esito positivo delle
trattative. Varoufakis confida anch’egli nella Merkel, ma ritiene
che solo se il governo greco si mostra unito e determinato
nell’attivare i suoi deterrenti, essa interverrà per favorire un
accordo.
Mentre proseguono lo stallo e il logoramento del paese,
Varoufakis comincia invece a essere anche visto, anche all’interno
del governo, come un ostacolo all’esito
positivo delle trattative.
Così,
infine, per
sbloccare una situazione sempre più insostenibile, Tsipras
decide per la convocazione del referendum del 5 luglio: il popolo
greco è chiamato a esprimersi con un Sì o con un No all’accordo
nei termini posti dai creditori. Tutte le previsioni sono che il
paese, stremato dalla crisi, si pronunci per il Sì, ma il No vince
con un largo 61,3%. Varoufakis però è l’unico a festeggiare: gli
altri membri del governo invece, nonostante fossero ufficialmente
schierati per il No, si attendevano un Sì che potesse legittimare la
loro capitolazione.
Gli
ultimi colloqui tra Tsipras e Varoufakis, riportati ampiamente nel
volume, illustrano
bene il dramma della democrazia greca (ed europea). Tsipras, con le
banche chiuse e la campagna referendaria in corso, chiede al suo
ministro quali possibilità ha il governo di raggiungere un accordo
con i creditori perseguendo nel rifiuto dell’austerità. Sebbene
Varoufakis nel testo esprima spesso la convinzione che, ove il
governo fosse rimasto compatto e abbia predisposto i suoi deterrenti,
un accordo sarebbe stato raggiunto, ci
racconta che in
quell’occasione fornisce una risposta diversa: se avessimo di
fronte dei creditori che pensano ai propri interessi, un accordo
sarebbe certo; ma siccome le classi dirigenti agiscono spesso in modo
autodistruttivo,
la
probabilità
che si giunga a un esito disastroso per tutti è del
cinquanta
per cento.
Tsipras,
logorato da mesi di pressioni umanamente insostenibili, sfiduciato e
isolato in campo internazionale, con una compagine governativa debole
e incerta,
si trova di fronte a una scelta drammatica: proseguire nella linea
del rifiuto rischiando di condurre il
paese
fuori dalla moneta unica, oppure
capitolare alle richieste delle cosiddette istituzioni. Messo anche
in allarme sui presunti preparativi di un colpo di stato dal
Presidente della Repubblica, dal governatore
della Banca centrale, dai servizi segreti e da membri del governo,
nonostante l’esito del referendum decide per la capitolazione.
Varoufakis, in disaccordo, si dimette e rifiuta altri incarichi
ministeriali. Nelle settimane successive la Grecia firma tutte le
condizioni imposte dai creditori, senza ottenere nulla in cambio.