sabato 16 novembre 2019

left n. 45, 8 novembre 2019

Tutto il potere al mercato

A trent’anni dalla caduta del Muro, la promessa di democrazia e benessere in una parte del mondo è sfociata in guerre e distruzioni, in un’alta ha prodotto diseguaglianze e precarietà. E ovunque il divario tra ricchi e poveri è cresciuto a dismisura

di Andrea Ventura


Nell’estate del 1989, alcuni mesi prima del crollo del muro di Berlino, la rivista americana The National Interest pubblicava un saggio di Francis Fukuyama intitolato “La fine della storia?” Nel breve saggio, il politologo americano propone per la prima volta la tesi che lo ha reso famoso. Fukuyamasostiene che tutti i popoli del mondo stanno pervenendo allo stesso modello di organizzazione sociale, basato sulla democrazia e il libero mercato; alternative ad esso sarebbero fuori dalla storia. Egli non afferma certo la fine dei fatti storici, ma la fine di ogni alternativa al modello occidentale di società. La sua è dunque una proposizione ideologica. Recentemente, infatti, Fukuyama ha ricordato che la sua tesi sarebbe affine a quella di Marx, ma mentre Marx individuava nel comunismo lo stadio finale di una dialettica sociale che avrebbe visto il superamento della società borghese, egli invece vede quest’assetto definitivo nella combinazione tra democrazia e libero mercato che si va affermando nei tempi attuali. A distanza di trent’anni, qualche domanda sulla validità di una tesi che per alcuni aspetti sembra trovare conferma, è necessario porsela. Una proposizione di questa natura, infatti, implica che questo modello sociale corrisponda effettivamente alle aspirazioni più profonde degli esseri umani. Ove la combinazione tra democrazia e libero mercato possa effettivamente costituire una condizione stabile per l’umanità, infatti, le contraddizioni che porta con sé, piuttosto che aggravarsi dovrebbero tendenzialmente sciogliersi; se invece esse dovessero aggravarsi, questo modello sociale potrebbe portare in tempi più o meno lunghi a instabilità, crisi, e a nuove prospettive di sviluppo.

Vediamo dunque quali sono stati i suoi principali successi, e quali i suoi elementi di crisi. Un dato balza agli occhi: il crollo del muro di Berlino non ha aperto una fase di pace e di stabilità, piuttosto sono comparsi nuovi focolai di crisi e nuove guerre. Da un mondo bipolare che aveva il suo equilibrio nella contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, dopo il crollo dei regimi dell’Est, ma soprattutto dopo l’11 settembre 2001, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, si è tentato di imporre la democrazia e la legge del mercato seminando terrore e guerre, lasciando i territori aggrediti in preda alla devastazione e senza strutture sociali stabili. Da questo punto di vista, l’imposizione del nostro modello sociale ha trovato resistenze profondissime, generando rancori, sofferenze, paure e povertà. Il fallimento di quella proposizione, sotto questo profilo è totale. Nei paesi avanzati invece, questa composizione tra mercato e democrazia, lungi dall’aver garantito libertà e benessere, ha generato instabilità e proteste sociali. Dobbiamo infatti ricordare che almeno fino alla crisi del 2008 i sistemi politici dei paesi europei erano governati da due schieramenti apparentemente alternativi, ma di fatto interpreti del paradigma di Fukuyama con limitate variazioni programmatiche. Quel sistema è ormai tramontato: non sappiamo cosa ci attende, ma quasi ovunque, in Europa, i ceti medi si sono impoveriti e si sono rapidamente affermate forze antisistema che prima di quella data erano irrilevanti. Anche negli Stati Uniti la vittoria di Trump può essere letta nella stessa chiave: un personaggio interno al vecchio sistema di potere, ma apparentemente dirompente e alternativo, è riuscito contro ogni previsione a interpretare lo scontento sociale e guadagnare la presidenza. La promessa di democrazia e benessere, in sostanza, in una parte del mondo si è risolta in guerre e distruzioni, e in un’altra ha generato impoverimento, diseguaglianze, precarietà, contrazione dei diritti e delle protezioni sociali. 

Il principale successo della globalizzazione è indubbiamente nel miglioramento del tenore di vita delle popolazioni di India, Cina e sud Est asiatico. Mettendo da parte gli sconvolgimenti ambientali che possono derivare dal fatto che alcuni miliardi di persone hanno adottato un modello economico che persegue la crescita illimitata, al momento i progressi sono oggettivi: popolazioni che fino a qualche decennio fa vivevano in condizioni di miseria spaventosa, si avviano a raggiungere quel benessere che era appannaggio esclusivo dell’Occidente. Eppure, anche qui, non è tanto la democrazia e il libero mercato che si sono affermati. In Cina, in particolare, abbiamo un sistema politico dove la dittatura di un partito che si richiama a Marx si accompagna ad un’economia di mercato che utilizza le più moderne tecnologie. Il paese oggi sfida l’Occidente su tutti i terreni. 

In questo radicale cambiamento si trova una delle ragioni della crisi che investe le nostre società. Nel grafico detto dell’elefante, ripreso da un paper della World Bank e spesso utilizzato per descrivere il fenomeno, alcuni degli elementi qui delineati trovano la loro raffigurazione. La coda dell’elefante indica quelle popolazioni, molte delle quali africane, o anche quelle colpite dalle sciagurate iniziative di esportazione della democrazia, che non hanno visto alcun miglioramento delle proprie condizioni di vita. La gobba dell’elefante rappresenta invece quanto appena detto: i popoli della Cina, dell’India e altri pasi del Sud Est asiatico hanno visto migliorare le loro condizioni economiche in misura notevolissima, e sono i vincenti di questa fase del progresso umano. In nessun altro momento della storia umana così tante persone sono uscite dalla povertà. La maggioranza dei popoli dell’Occidente si trova invece nel tratto successivo. Il grafico mostra che qui non si è avuto alcun miglioramento, ma piuttosto, in media, un peggioramento. Emerge bene in questa rappresentazione la crisi delle classi medie, quelle che garantivano il funzionamento di quel modello sociale basato su democrazia e libero mercato: il grafico le vede schiacciate tra l’avanzamento di paesi e popoli prima poverissimi, e l’arricchimento di quelle ristrettissime fasce sociali che, già ricche, escono anch’esse vincenti dai cambiamenti globali seguiti al crollo del muro. Sono i ricchissimi di ogni paese, della Russia, della Cina, dell’India, forse anche di alcuni paesi africani e dell’America Latina, ma sono soprattutto Europei e Americani. Il processo peraltro non sembra arrivato a un limite, anche perché il grafico è antecedente alla crisi finanziaria del 2008, ed è noto che le conseguenze di quell’evento hanno aggravato le difficoltà delle classi medie e favorito ulteriormente la concentrazione della ricchezza. Proseguono perciò le distruzioni provocate dalle guerre, la crescita di Cina e India, prosegue l’arricchimento ingiustificato dei pochissimi e l’impoverimento di gran parte dei popoli dei paesi industrialmente avanzati. 

Il modello che si è affermato in Occidente, in sostanza, aggredisce sempre più in profondità quei diritti e a quelle protezioni sociali che sono essenziali per il nostro sviluppo civile. Il crollo del muro ha dunque colpito anche noi. In presenza dei regimi comunisti dell’Est, che offrivano un modello alternativo al capitalismo, le classi dirigenti dell’Occidente sentivano la necessità di dimostrare che l’equilibrio che offrivano tra capitalismo e democrazia era in grado di garantire benessere per tutti. Crollato il muro, questa necessità è scomparsa. Se da una parte del muro si cercava l’uguaglianza soffocando la libertà, dall’altra parte, crollato il muro, la libertà economica ha distrutto l’uguaglianza. Difficile che la storia possa terminare qui.