martedì 26 maggio 2020

left 14, 3 aprile 2020

Se perfino Draghi vuole più debito pubblico

Le banche devono emettere moneta senza vincoli, ha detto l’ex presidente della Bce, finora paladino dell’ortodossia. Da qui la necessità di una revisione dei trattati vigenti dell’Ue.

di Andrea Ventura

È utile illustrare la continuità tra la crisi del 2008 e la condizione attuale dell’economia globale. Il 2008 ha visto l’esplosione di una crisi finanziaria senza precedenti, che è stata affrontata riproponendo, con poche correzioni, le stesse dinamiche speculative che avevano condotto al disastro. Allora il collasso completo della finanza fu fermato grazie alle politiche ultraespansive delle banche centrali, che fecero affluire denaro a bassissimo costo al sistema finanziario. Queste politiche, soprattutto in Europa, furono accompagnare da restrizioni fiscali che causarono una riduzione dei redditi per le classi meno abbienti e un indebolimento dei servizi pubblici. Il denaro emesso dalle banche centrali, dunque, più che sostenere l’economia, restava nel circuito della finanza, arricchendo i già ricchi, alimentando la speculazione e sostenendo artificialmente i corsi delle azioni. Ma fornire moneta a basso costo a una finanza già in crisi è come fornire eroina ad un tossicodipendente. Il meccanismo è relativamente semplice: quando la liquidità è abbondante, i tassi di interesse sono generalmente bassi e gli investitori cercano rendimenti più elevati investendo in attività ad alto rischio; il sistema finanziario allora diviene via via più fragile e chiede maggiore liquidità per sostenersi. In breve, l’emissione di moneta, in assenza la crescita, serve solo a rinviare la resa dei conti. 

In queste settimane, ad una situazione già precaria, si sono aggiunte le conseguenze dell’epidemia. Scricchiolii nella finanza americana, infatti, erano già avvertibili nel settembre scorso, quando per motivi non del tutto chiari la Federal Reserve fu costretta ad emettere liquidità per 260 miliardi di dollari. Tra febbraio e marzo, con l’avanzare della pandemia, sui mercati azionari di tutto il mondo si è diffuso il panico e gli indici di borsa sono crollati. L’indice americano, in particolare, è sceso di un terzo dal massimo storico raggiunto il 19 febbraio. Il 12 marzo la Federal Reserve annunciava interventi per altri i 1.500 miliardi (circa l’equivalente delle operazioni effettuate dal 2008 ai primi mesi del 2010), consumati interamente in due settimane. Dieci giorni dopo la Fed dichiarava di essere disposta ad intervenire ancora, senza alcun limite. Sempre negli Stati Uniti, la settimana scorsa il Congresso ha approvato un piano di sostegno ai cittadini, ai servizi pubblici e alle imprese di oltre 2.000 miliardi di dollari, una cifra che si avvicina all’intero nostro debito pubblico, più del doppio di quanto fu speso nel 2008. Si prevede che questo stanziamento possa essere sufficiente solo per pochi mesi. Vi è un limite alla spesa statale e alla moneta che può emettere una banca centrale? Certamente no, ma il sistema finanziario non può reggersi su della carta priva di valore: il valore della moneta è basato sulla fiducia che la moneta stessa possa trovare un corrispettivo in un bene reale. L’economia perciò deve funzionare e il sistema finanziario deve essere solido. In tempi normali, i prestiti che le banche concedono devono affluire a investimenti che producono dei redditi in grado di ripagarli; in assenza di questa condizione, il crollo è possibile in qualsiasi momento. L’immensa liquidità che già ora si rende necessaria, indica dunque che il sistema finanziario americano, al di là dell’emergenza sanitaria, non ha soddisfatto questa condizione: esso potrebbe essere sull’orlo del baratro. La Federal Reserve svolge ormai la funzione di Banca centrale per l’economia di tutto il mondo. Un cataclisma negli Stati Uniti avrebbe effetti inimmaginabili.

Quello che vale per gli Stati Uniti vale anche per l’Europa, dove le pratiche della finanzia non sono state molto diverse. Alcune grandi banche (tedesche e francesi in particolare) versano da tempo in condizioni precarie. Non facciamoci dunque ingannare: i nostri sistemi economici potrebbero essere travolti non tanto dal Coronavirus, quanto dalle conseguenze di questi decenni di neoliberismo. Non vi sono state distruzioni materiali: un sistema economico ben funzionante potrebbe sostenereun periodo di fermo parziale della produzione. Per chi chiude o perde il lavoro sono possibili finanziamenti pubblici e privati, che saranno restituiti alla ripresa delle attività. Sono anche possibili finanziamenti all’economia e ai governi con emissioni nette di moneta. Ma oggi queste strade non sembrano facilmente percorribili, sia perché, appunto, le grandi istituzioni finanziarie private non sono solide – pertanto il calo della produzione può travolgerle –, siaperché in un’Europa mal costruita questi interventi richiederebbero un complesso percorso di revisione dei trattati vigenti. 

Sul Financial Times del 25 marzo scorso, Mario Draghi si è espresso a favore della crescita dei debiti pubblici per sostenere le perdite dei privati: come in guerra, ha affermato, “è compito del bilancio statale proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire”. A suo avviso le banche devono emettere moneta senza vincoli, sostenendo disoccupati, imprese e attività economiche che rischiano di essere cancellate. Debito pubblico e finanza privata, insomma, dovrebbero agire in modo coordinato per sostenere l’economia. Come molti hanno sottolineato, la presa di posizione dell’ex governatore della Bce costituisce una svolta radicale. Draghi è sempre stato un fedele guardiano dell’ortodossia. Ma la posta in gioco oggi è indubbiamente altissima; la sua uscita fa il paio con una dura presa di posizione di Conte nei confronti della Merkel, accusata nel corso del vertice europeo del 27 marzo di guadare la realtà odierna con gli occhiali di dieci anni fa. L’Europa è di fronte ad uno snodo di importanza decisiva: o cambia o si disgrega. La gabbia dei trattati e i vincoli agli interventi della BCE sono del tutto inadeguati ad affrontare la crisi in corso, e Mario Draghi ha ragione a indicare la necessità del loro superamento.

Eppure, al di là dell’emergenza, alcune cose vanno tenute a mente. Forse è presto per parlarne, ma in questo falò dei debiti privati prospettato da Draghi – cioè in questo spostamento del debito dal settore privato a quello pubblico – non vorremmo che fossero compresi i buchi di bilancio occulti della finanza deregolamentata che si sono formati nei decenni scorsi. Le banche dell’Occidente sono piene di titoli speculativi che la crisi rischia di ridurre a carta straccia. Draghi proviene da questa finanza sull’orlo della bancarotta, non dimentichiamolo. Inquieta che la Lega e parte del nostro sistema politico lo invochino come uomo forte per questo momento di crisi, o come futuro presidente della Repubblica. Dopo la crisi sarà invece necessario ripartire seguendo princìpi economici diversi, e sarà anche bene affidare le leve del potere a persone non responsabili dei disastri del passato. Non è vero che questa è un’emergenza simile a quella causata da una guerra, passata la quale si potrà riprendere a fare affari come prima.