martedì 26 maggio 2020

left n. 11, 13 marzo 2020

Salute pubblica first, il neoliberismo ha fallito

L’epidemia di coronavirus, come la crisi del 2008, falsifica la teoria secondo cui gli automatismi del mercato debbano governare l’economia. Oggi più che mai è dimostrato che il benessere e la qualità della vita dipendono in primis da uno Stato che funziona

di Andrea Ventura


In un momento così drammatico e incerto, è difficile scrivere di economia. Il pezzo va inviato il lunedì, è impaginato martedì e arriva al lettore due o tre giorni dopo, quando la situazione potrebbe essere molto diversa. Ecco, forse per discutere di economia dovremmo partire proprio da questa parola: incertezza. In una situazione troppo confusa posso attendere la settimana successiva per decidermi a scrivere il mio articolo, ma se, in un contesto di incertezza generalizzata, un numero consistente di imprenditori, consumatori e famiglie rimandano le proprie decisioni perché il futuro è troppo incerto, l’economia si blocca. Anche se i soldi fossero sempre a disposizione sui conti delle famiglie e delle imprese, anche se le strutture produttive fossero perfettamente funzionanti e i lavoratori pronti a entrare nelle fabbriche, il rinvio delle spese implica nell’immediato redditi ridotti per chi produce quelle merci, non venendo esse più acquistate. L’attività economica allora si contrae, le aspettative peggiorano ulteriormente e si genera una crisi. Nella sostanza la paura della crisi può essere essa stessa la causa della crisianche perché la speculazione anticipa gli eventi e cavalca le paure.. Al di là di quello che può succedere oggi - che all’incertezza soggettiva si aggiungono gravi circostanze oggettive - abbiamo qui un nodo teorico fondamentale, che differenzia la teoria neoliberista da quella keynesiana. La prima crede nella stabilità dei mercati, la seconda sottolinea l’incertezza e l’instabilità dell’economia capitalistica. La prima pensa di conseguenza che gli automatismi del mercato debbano governare l’economia, la seconda che per evitare crisi e disoccupazione siano necessarie politiche pubbliche di stabilizzazione.

Seguire la prima tesi, come è stato fatto negli ultimi decenni, ha avuto conseguenze di enorme portata sui nostri sistemi sociali ed economici: in Europa i governi hanno adottato vincoli di bilancio e rinunciato alla sovranità monetaria, mentre in tutto il mondo si è pensato che i mercati potessero sviluppare strumenti autonomi per proteggersi dall’incertezza. Anche da qui ha avuto origine quell’immensa mole di titoli derivati che ha generato la crisi del 2007-2008: il rischio individuale, trasferito a livello sistemico, ha prodotto il crollo.
Quella crisi ha mostrato quanto il modello neoliberista fosse fallimentare. Essa, inoltre, è stata in parte arginata proprio grazie all’intervento pubblico: governi e banche centrali hanno mobilitato una cifra pari a 70 volte quella spesa dagli Stati Uniti con il Piano Marshall per ricostruire l’Europa devastata dalla guerra. In particolare, le banche centrali hanno stampato migliaia di miliardi di euro e di dollari per sostenere un sistema finanziario che tutt’ora versa in condizioni assai precarie, mentre, certo in malafede, sempre con l’idea che i governi nuocciono all’economia, in molti paesi sono mancati i soldi per i bisogni dei cittadini.
Oggi un altro evento potenzialmente catastrofico sta investendo il nostro paese, con possibili effetti anche sull’economia globale. Come avviene nei sistemi complessi, infatti, perturbazioni e fratture in un punto si trasmettono e si amplificano, e possono generare conseguenze imprevedibili. Sebbene siano di natura profondamente diversa, la crisi del 2008 e il dramma di queste settimane hanno un elemento comune: essi rappresentano la falsificazione delle tesi neoliberiste. Nell’arco di poco più di un decennio, due eventi hanno mostrato che per il benessere dei cittadini è necessario l’intervento pubblico.
Negli anni seguenti al 2008 la risposta, dapprima in America e poi in Europa, fu l’enorme offerta di liquidità da parte delle banche centrali, a vantaggio degli istituti di credito e della finanza. È complesso illustrare ora le distorsioni provocate da queste politiche, ma è certo che esse hanno alimentato la possibilità dei ricchi di arricchirsi ulteriormente, mentre la massa della popolazione di benefici ne ha ricevuti ben pochi. Oggi è a rischio in primo luogo la salute pubblica, e in secondo luogo l’attività economica. L’intervento governativo dovrebbe anzitutto proteggere coloro che necessitano dell’assistenza sanitaria, e in secondo luogo chi ha perso le proprie fonti di reddito. Vanno difese in particolare quelle fasce di popolazione prive di protezioni sociali, che sono già nell’incertezza esistenziale. Vale per loro, ma vale per tutti: non vi è protezione dell’individuo senza sanità e assistenza pubblica, e senza il potenziamento di ogni forma di sicurezza collettiva. Mai come ora è evidente l’insensatezza dell’affermazione della Thatcher secondo cui “la società non esiste, esistono soltanto gli individui con le loro famiglie”, e di quella reganiana secondo cui “lo Stato è il problema e non la soluzione”. Queste affermazioni, che hanno segnato un’epoca, vanno definitivamente lascate alle nostre spalle. Oltre l’emergenza, che mostra quanto il singolo individuo sia fragile se isolato dai suoi simili, va ripesato alla radice il ruolo dell’intervento pubblico nell’economia. Peraltro, in un sistema mondiale sempre più interconnesso, l’azione collettiva è sempre più necessaria: vale per le epidemie, per l’ambiente, per gli squilibri macroeconomici, per ogni prospettiva di controllo dei flussi finanziari, per la difesa della privacy dai colossi del web, vale anche per i paesi europei nei confronti delle tensioni geopolitiche. Si deve comprendere che quell’errore di composizione, fatale per le tesi sulla “mano invisibile” del mercato – che manca appunto di riconoscere le conseguenze a catena dell’incertezza – è presente anche nel modo in cui si affrontano i numerosi e drammatici problemi che lo sviluppo umano deve fronteggiare: in troppe circostanze, oggi, o ci si salva insieme, o non si salva nessuno. 

Ora, restando all’emergenze di queste settimane, è necessario che il potenziale di risorse mobilitabile dalle banche centrali sia a disposizione dei governi e dei cittadini. In assenza di questa garanzia, gli interventi che il nostro governo sta attuando a sostegno della sanità e dell’economia – ancora peraltro insufficienti - si risolveranno in una nuova crisi del debito, con conseguenze che possono essere assai gravi per l’Europa intera. Questa garanzia implica il superamento, una volta per tutte, del divieto della Banca centrale europea di finanziare i debiti statali. Questo sostegno deve essere assicurato oggi al nostro paese, e domani ad altri paesi che dovessero incorrere in problemi di questa portata. Va chiarito che, in un sistema finanziario moderno, i limiti al sostegno che la banca centrale può fornire alle spese statali non hanno alcun rapporto con i vincoli del bilancio pubblico, o del bilancio della banca centrale. Devono essere immediatamente abbandonate le politiche di austerità, che tanti danni hanno già provocato, ripensando alla radice le regole dell’Europa. Va sviluppato un pensiero sociale all’altezza dei problemi del XXI secolo. Senza di questo, una nuova crisi è inevitabile. Alla crisi di dieci anni fa è seguita l’ascesa della destra nazionalista e xenofoba: quella che potrebbe scatenarsi oggi rischia di segnare la fine del progetto europeo.