martedì 23 marzo 2021

Left n. 2, 15 gennaio 2021

Realizzare l’uguaglianza, non solo a parole

 

di Andrea Ventura

 

La lettura più semplice e diffusa dell’avanzata della destra nazionalista e xenofoba afferma che le fasce sociali storicamente collocate a sinistra, a causa dell’assenza di opposizione alle politiche neoliberiste, si sono sentite abbandonate e hanno cercato altri referenti politici. La sinistra, per sconfiggere le destre, dovrebbe pertanto tornare a sostenere politiche redistributive e a difendere le protezioni sociali. Sebbene questa lettura abbia elementi di verità, ci sono altri aspetti di cui è necessario tener conto. Indubbiamente in Occidente sono cresciute le diseguaglianze, il lavoro è penalizzato, lo Stato sociale si è indebolito e questo ha certamente contribuito a creare una situazione esplosiva. Eppure, a livello globale, negli ultimi decenni si è registrata una tendenza opposta della quale occorre tener conto. Potenti infatti sono state le spinte, coronate da successo, verso una maggiore uguaglianza.


         La prima spinta viene dalle donne. Esse non accettano più di vivere in una condizione subordinata, di avere salari inferiori e minore accesso alla vita sociale. Questa spinta non si registra non solo in Occidente, ma anche in paesi africani, in Iran, e perfino in Arabia Saudita, dove le donne che accedono all’istruzione superiore sono passate dal 10% al 60% negli ultimi 25 anni. In secondo luogo, Cina, India, Pakistan, numerosi altri paesi del Sud Est asiatico e dell’Africa del Sud sono sulla via della crescita economica: se quarant’anni fa il Pil complessivo della Cina e dell’India era un decimo di quello degli Stati Uniti e dell’Unione europea, oggi è più o meno equivalente; la Cina si avvia rapidamente a diventare la maggiore economia mondiale e il volume del commercio con i cinesi, per gli europei, ha superato quello con gli Stati Uniti. A livello globale si è formata una classe media benestante e istruita che supera i 3 miliardi di persone. Come osserva Mahbubani (Occidente e Oriente. Chi perde e chi vince, Bocconi editore, 2019) questo progresso non si è avuto quasi esclusivamente in quella fascia di paesi che va dal Nord Africa al Medio Oriente all’Afghanistan, dove l’Occidente, dopo aver sostenuto i peggiori dittatori, ha voluto esportare a suon di bombe la democrazia. Anche grazie questi disastri, sono sempre di più i paesi che rifiutano l’egemonia dell’Occidente sugli equilibri del pianeta.


         Oltre al disagio economico che investe la classe media e operaia dell’Occidente capitalistico, dunque, va considerato che il dominio dell’individuo bianco, adulto, razionale, che governa sui “popoli inferiori”, si realizza nel lavoro e ha nella crescita del benessere economico il suo obiettivo esistenziale, è giunto al termine. Pertanto la risposta a questa crisi, che è anche una crisi di identità, richiede non solo il riequilibrio dei rapporti di forza tra capitale e lavoro. Essa deve anche basarsi su una nuova idea di socialità e di benessere, che consideri che la vera realizzazione umana va cercata nel rapporto col diverso da sé. La nostra vera ricchezza in quanto esseri umani è nella capacità di rapporto tra uomo e donna, come anche nella contaminazione e nel confronto tra storie e culture, oltre ogni idea di dominio, di sopraffazione, di superiore e inferiore. Questa capacità di rapporto, a sua volta, si basa sul superamento della centralità della ragione: quest’ultima è assai utile per il benessere fisico e per l’uso razionale degli oggetti materiali, ma nei rapporti umani contano piuttosto quelle dimensioni affettive, emotive, anche non razionali, che ci fanno sentire che, al di là della diversità nel sesso, nel colore della pelle, nella storia e nella cultura, apparteniamo tutti alla stessa specie. Siamo tutti uguali in quanto esseri umani.

         È questo il passaggio che abbiamo di fronte. Scontiamo qui una complicità: la sinistra socialdemocratica, negli anni del “compromesso” tra capitale e lavoro, non ha voluto vedere quanto il nostro benessere fosse legato anche alla morte e alla distruzione che l’Occidente capitalistico scatenava contro popoli e paesi dotati di minori capacità tecniche, economiche e militari. Oggi quel divario non c’è più. La coesione sociale di cui si discute tanto per recuperare la stabilità e sconfiggere la destra, non può prescindere dalla necessità di stabilire nuovi rapporti con popoli che hanno storie e culture diverse dalle nostre, e che giustamente rivendicano pari dignità. Il mondo che vorrebbero xenofobi, misogini, fascisti e nazionalisti non esiste più. Ogni tentativo di ricostruirlo è destinato al fallimento. O impariamo a realizzare veramente l’uguaglianza all’interno delle nostre società e nei rapporti con gli altri paesi, o il declino della nostra civiltà sarà inevitabile e potrà essere catastrofico per tutti.